"Un uomo può essere giudicato da come apre una porta, una donna può essere giudicata da come la chiude."
Per comprendere il senso che c'é dietro questo curioso modo di dire giapponese è importante sapere qualcosa in più sulle porte e l'architettura del Giappone pre-moderno.
A differenza delle porte che sono fissate a cardini tipiche delle nostre costruzioni occidentali, le porte giapponesi scivolano avanti e indietro su scanalature di legno sul pavimento. In alcune stanze la porta può essere un piccolo rettangolo offrendo così un'apertura così piccola che si può entrare attraverso di essa solo camminando carponi sulle mani e sulle ginocchia.
Queste piccole porte sono denominate
nijiri guchi e sono una caratteristica comune alle case del té tradizionali.
Entrare a carponi attraverso la piccola apertura ha lo scopo di rendere umili e sgonfiare l'ego (considerando la misura di alcuni degli ego che oltrepassano le porte dei nostri Dojo).
Qualsiasi sia la loro misura o forma, le porte giapponesi si aprono tutte allo stesso modo: ci si inginocchia vicino all'apertura e la si fa scorrere aprendola, poi si entra nella stanza scivolando avanti sulle ginocchia.
Questa è una descrizione semplificata del modo di entrare attraverso una porta, come direbbe un qualsiasi esponente di una "vera" Via o arte classica del Giappone. I giapponesi di buona educazione sanno che si deve usare la mano più vicina alla porta per aprirla di pochi centimetri ("la larghezza di un indice" secondo una scuola di etichetta feudale), poi si cambia mano per fare scorrere il resto della larghezza.
Ci sono un gran numero di cose da osservare in questa semplice azione se si vuole osservare il protocollo previsto dall'antico Giappone.
Non è esagerato dire che quando eseguita con il giusto spirito questa azione può assumere la proprorzione di un Kata, uno dei movimenti formali che sono alla base di tutte le arti e Vie giapponesi.
E' inevitabile pensare che per fare un'entrata ad effetto si potrebbe spingere vigorosamente la porta con uno spintone facendola sbattere, e sapendo che le persone nella stanza siedono sul pavimento ci si potrebbe imporre ottenendo l'attenzione di tutti perché ogni persona sarà nella condizione di guardare chi è entrato letteralmente dal basso verso l'alto.
Per qualcuno, specialmente per noi occidentali, questo potrebbe sembrare un modo simpatico di entrare mentre l'etichetta giapponese, ovviamente, richiede il comportamento opposto.
In Giappone buona parte dei comportamenti sono stati finalizzati per mantenere e preservare l'armonia sociale. Andare d'accordo coi propri simili era importante, soprattuttto perché vige il concetto che il "sé" individuale non è così importante quanto il benessere del gruppo.
Più alta era la classe sociale dell'individuo, tanto più umile e modesta era la sua condotta. Più la persona era "di classe" e meno aveva bisogno di mettersi in mostra dato che l'individuo (che era sicuro della sua casta sociale) non aveva la necessità di ricordare a sè stesso (o ad altri) della sua posizione. Quando entrava in una stanza non era necessario utilizzare l'entrata come un'occasione per richiamare l'attenzione su di sè. Entrava quietamente, usando prima una mano poi l'altra per aprire la porta, perchè questo metodo faceva scorrere la porta silenziosamente con un rumore minimo. Entrava poi utilizzando un passo scivolato sulle ginocchia così da mantenersi al livello delle altre persone già presenti. Questo è il significato nascosto dietro il detto che un uomo può essere giudicato da come entra in una stanza.
Ma perchè la distinzione tra uomini e donne?
Le donne erano spesso in una posizione subordinata nella vita quotidiana del Giappone antico. Se un gruppo di uomini era in una stanza, sarebbe stata probabilmente una donna a servire cibo e bevande (dopo di che sarebbe uscita). Così una donna usciva dalla stanza più spesso, chiudendo la porta dietro di sè mentre c'erano ancora persone all'interno. Ecco perché la distinzione tra i sessi. Ma tale distinzione può essere fraintesa: nell'essenza, il genere maschile o femminile è superfluo, quel che conta è lo spirito e l'atteggiamento col quale ognuno conduce sè stesso.
Questo spirito o atteggiamento ha pervaso la cultura giapponese, e poichè i
Budo sono frutto di quella cultura, non dovrebbe sorprendere che tali concetti siano parte integrante anche delle Vie marziali.
Provoca così fastidio e tristezza vedere che così tante persone, che apparentemente dicono di fare del Budo una parte significativa delle loro vite, rimangono così tenacemente ignoranti circa lo spirito e l'attitudine, oppure che - ancora peggio - scelgono deliberatamente di fare finta che lo spirio o le attitudini non esistano.
Purtroppo capita spesso di vedere un "maestro" di arti marziali entrare nel Dojo pavoneggiandosi come se il mondo fosse fortunato ad averlo.
L'abilità di aprire e chiudere una porta scorrevole giapponese sono una parte del
Reishiki, cioè della "forma corretta" o "etichetta".
L'abilità di muoversi in un modo eqilibrato ed aggrazziato scivolando sulle ginocchia sul pavimento è un aspetto specifico di questa forma, questa maestria del sè che ci permette di entrare in armonia con gli altri e di presentarci al mondo in un modo ripettoso.
Col dispiacere di chi di noi ha un interesse nei confronti delle tradizioni, queste abilità e capacità sono largamente scomparse nel mondo moderno.
A meno che non si viva in Giappone, conoscere come aprire una porta scorrevole e come entrare ed uscire attraverso di essa non è certo di vitale importanza negli affari odierni. Ma alcune maniere, le cosiddette "regole non scritte attraverso le quali le persone incutono rispetto anche ai re", hanno la capacità di trascendere il tempo. In ogni epoca, in ogni cultura, noi siamo giudicati dalle piccole cose che facciamo. Chi afferma di seguire il sentiero tracciato dalle Vie marziali deve essere consapevole che la forma esteriore è molto spesso la manifestazione esplicita di uno stato interiore più profondo. Questo dovrebbe farci rifettere anche quando entriamo in una stanza o chiudiamo una porta, sia che facciamo scivolare una porta sulle sue guide, sia se ruotiamo una maniglia.